Recensione: Un covo di vipere di Andrea Camilleri
Titolo: Un covo di vipere
Autore: Andrea Camilleri
Edizione: Sellerio
Prezzo: 14,00€
Trama: È l’alba a Marinella e il sonno di Montalbano viene interrotto dal canto di un usignolo. O almeno così pare al commissario, salvo poi scoprire che si tratta del fischiettare di un vagabondo che ha trovato rifugio nella verandina durante un temporale di fine estate. Un barbone sui generis però, perché parla un italiano perfetto e si vede che ha conosciuto tempi migliori. Confessa di abitare in una grotta poco distante ma non c’è tempo di approfondire la questione perché Montalbano deve correre in commissariato dove Catarella gli annuncia l’assassinio del ragionier Cosimo Barletta.
Nel villino lungo la strada che costeggia il mare nessun segno di effrazione, nessuna traccia di lotta: l’uomo è stato colpito alla nuca da un colpo di pistola mentre seduto in cucina stava bevendo un caffè.
Un tipo strano il ragioniere, una vita solo in apparenza rispettabile: vedovo, benestante, casa in paese e villino sul mare, due figli, Arturo e Giovanna, entrambi sposati. Dalle loro parole però emerge un ritratto dell’uomo non proprio edificante. Malo carattere, qualche affare immobiliare che fa sospettare prestiti ai limiti del lecito, cosa altro ancora? Se lo chiede il commissario quando foto equivoche e lettere nascoste in un doppio fondo della scrivania della vittima svelano una passione malata.
L’autopsia poi mette a nudo un particolare inquietante che costringe a cambiare marcia nell’indagine, tanto più che entrambi i figli di Barletta parlano di un testamento - che non si trova - che il padre intendeva rivedere.
Livia arriva a Vigàta proprio quando l’inchiesta sta entrando nel vivo e mentre il commissario si attarda tra interrogatori di testimoni e perquisizioni, lei conosce Mario, l’uomo della grotta, e ne vuole carpire il segreto.
La verità lentamente si fa strada ma è una soluzione che Montalbano non vorrebbe ammettere neanche a se stesso.
Ho letto i primi libri di Montalbano in ordine sparso e non sono neanche sicura di averli letti tutti. Speravo di seguire un minimo di cronologia con i nuovi, ma ho scoperto che tra la mia lettura precedente ('Una lama di luce') e questa, nel mezzo avrebbe dovuto essercene un altra. A Camilleri non si sta dietro!
Perdonate il piccolo sfogo da lettrice appassionata.
Caso sul torbido, stavolta, per l'atipico commissario siciliano.
Il morto che si ritrova tra le mani, infatti, amava moltissimo le donne, quelle giovani tra i diciotto e i ventuno ventidue anni. E sembra che fosse, talvolta, ricambiato.
La vicenda non è semplice, ma l'autore è sempre molto bravo a non far perdere il lettore.
Tanto spazio ai ragionamenti di Montalbano sia sul caso, sia su fatti più ragionevoli; e tanta umanità, stavolta verso un vagabondo che vive in una grotta vicino alla casa a Marinella.
In genere è questa la cosa che amo di più delle storie di Salvo: che sono umane. Non nasconde che vorrebbe non prendere l'assassino di un uomo così riprovevole, che, anzi, ritiene che abbia fatto un favore al mondo e che non dovrebbe subire conseguenze così gravi. Ma c'è anche il suo lato poliziotto che gli ricorda che un assassino è un assassino.
Una lotta intestina di coscienza che espone il personaggio al giudizio del lettore, ma lo rende anche trasparente e amabile.
Poi mi diverte un sacco il rapporto con le donne. Con Livia, in primis, ma anche con la cameriera Adelina e con le belle signore che incontra, perché, insomma, il commissario sempre uomo è, apprezza le belle donne. Talvolta si fa un pelo raggirare, e a una signora come me viene da ridere nel constatare che certi uomini sono proprio ingenui (e fanno tenerezza).
Eccettuati i personaggi attinenti al caso, ho trovato che sono diminuiti quelli 'soliti'. Soprattutto nel commissariato compaiono solo Catarella (che adoro), Mimì e Fazio, mentre in genere ne sono presenti qualcuno in più. Magari è solo per questo libro, o forse anche a Vigata ci sono stati tagli al personale.
Il finale è molto Montalbano, ma una cosa mi lascia perplessa: l'intervento del vagabondo che parla proprio al momento giusto. Un vagabondo molto colto, tra l'altro, le cui frasi quasi stonano in mezzo a tutto il siciliano di Camilleri.
So di essere molto pignola in genere con l'italiano e la mia adorazione per i libri scritti in dialetto può sembrare strana.
In realtà l'autore ne ha fatto la sua impronta tipica, una caratteristica fondamentale dei suoi racconti (almeno quelli di Montalbano), tanto che, se riportati in italiano, perderebbero buona parte del loro fascino. Vero è che, comunque , è un siciliano un po' italianizzato per renderlo comprensibile a tutti (basta farci l'abitudine), ma è lineare e regolare, ha una sua armonia e una sua cadenza.
Poi può non piacere, per carità, ma per me, in queste storie, è irrinunciabile.
Autore: Andrea Camilleri
Edizione: Sellerio
Prezzo: 14,00€
Trama: È l’alba a Marinella e il sonno di Montalbano viene interrotto dal canto di un usignolo. O almeno così pare al commissario, salvo poi scoprire che si tratta del fischiettare di un vagabondo che ha trovato rifugio nella verandina durante un temporale di fine estate. Un barbone sui generis però, perché parla un italiano perfetto e si vede che ha conosciuto tempi migliori. Confessa di abitare in una grotta poco distante ma non c’è tempo di approfondire la questione perché Montalbano deve correre in commissariato dove Catarella gli annuncia l’assassinio del ragionier Cosimo Barletta.
Nel villino lungo la strada che costeggia il mare nessun segno di effrazione, nessuna traccia di lotta: l’uomo è stato colpito alla nuca da un colpo di pistola mentre seduto in cucina stava bevendo un caffè.
Un tipo strano il ragioniere, una vita solo in apparenza rispettabile: vedovo, benestante, casa in paese e villino sul mare, due figli, Arturo e Giovanna, entrambi sposati. Dalle loro parole però emerge un ritratto dell’uomo non proprio edificante. Malo carattere, qualche affare immobiliare che fa sospettare prestiti ai limiti del lecito, cosa altro ancora? Se lo chiede il commissario quando foto equivoche e lettere nascoste in un doppio fondo della scrivania della vittima svelano una passione malata.
L’autopsia poi mette a nudo un particolare inquietante che costringe a cambiare marcia nell’indagine, tanto più che entrambi i figli di Barletta parlano di un testamento - che non si trova - che il padre intendeva rivedere.
Livia arriva a Vigàta proprio quando l’inchiesta sta entrando nel vivo e mentre il commissario si attarda tra interrogatori di testimoni e perquisizioni, lei conosce Mario, l’uomo della grotta, e ne vuole carpire il segreto.
La verità lentamente si fa strada ma è una soluzione che Montalbano non vorrebbe ammettere neanche a se stesso.
Voto: 9/10
Ho letto i primi libri di Montalbano in ordine sparso e non sono neanche sicura di averli letti tutti. Speravo di seguire un minimo di cronologia con i nuovi, ma ho scoperto che tra la mia lettura precedente ('Una lama di luce') e questa, nel mezzo avrebbe dovuto essercene un altra. A Camilleri non si sta dietro!
Perdonate il piccolo sfogo da lettrice appassionata.
Caso sul torbido, stavolta, per l'atipico commissario siciliano.
Il morto che si ritrova tra le mani, infatti, amava moltissimo le donne, quelle giovani tra i diciotto e i ventuno ventidue anni. E sembra che fosse, talvolta, ricambiato.
La vicenda non è semplice, ma l'autore è sempre molto bravo a non far perdere il lettore.
Tanto spazio ai ragionamenti di Montalbano sia sul caso, sia su fatti più ragionevoli; e tanta umanità, stavolta verso un vagabondo che vive in una grotta vicino alla casa a Marinella.
In genere è questa la cosa che amo di più delle storie di Salvo: che sono umane. Non nasconde che vorrebbe non prendere l'assassino di un uomo così riprovevole, che, anzi, ritiene che abbia fatto un favore al mondo e che non dovrebbe subire conseguenze così gravi. Ma c'è anche il suo lato poliziotto che gli ricorda che un assassino è un assassino.
Una lotta intestina di coscienza che espone il personaggio al giudizio del lettore, ma lo rende anche trasparente e amabile.
Poi mi diverte un sacco il rapporto con le donne. Con Livia, in primis, ma anche con la cameriera Adelina e con le belle signore che incontra, perché, insomma, il commissario sempre uomo è, apprezza le belle donne. Talvolta si fa un pelo raggirare, e a una signora come me viene da ridere nel constatare che certi uomini sono proprio ingenui (e fanno tenerezza).
Eccettuati i personaggi attinenti al caso, ho trovato che sono diminuiti quelli 'soliti'. Soprattutto nel commissariato compaiono solo Catarella (che adoro), Mimì e Fazio, mentre in genere ne sono presenti qualcuno in più. Magari è solo per questo libro, o forse anche a Vigata ci sono stati tagli al personale.
Il finale è molto Montalbano, ma una cosa mi lascia perplessa: l'intervento del vagabondo che parla proprio al momento giusto. Un vagabondo molto colto, tra l'altro, le cui frasi quasi stonano in mezzo a tutto il siciliano di Camilleri.
So di essere molto pignola in genere con l'italiano e la mia adorazione per i libri scritti in dialetto può sembrare strana.
In realtà l'autore ne ha fatto la sua impronta tipica, una caratteristica fondamentale dei suoi racconti (almeno quelli di Montalbano), tanto che, se riportati in italiano, perderebbero buona parte del loro fascino. Vero è che, comunque , è un siciliano un po' italianizzato per renderlo comprensibile a tutti (basta farci l'abitudine), ma è lineare e regolare, ha una sua armonia e una sua cadenza.
Poi può non piacere, per carità, ma per me, in queste storie, è irrinunciabile.
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