Recensione: Cose preziose di Stephen King

Io e il Re non abbiamo mai avuto un gran rapporto. Anzi... non c'è proprio mai stato rapporto. Da adolescente la mia migliore amica era appassionata e mi raccontava tutte le trame. Lì decisi che non faceva per me. Da adulta, a casa dei suoceri, trovai Blaze e gli concessi una possibilità. Pessima scelta, un libro davvero brutto, anche secondo molti suoi fan. Grazie alle grandi pulizie di Pasqua di una zia è arrivato questo, così, anche solo per toglierlo dalla libreria dove occupa spazio, ho concesso la seconda possibilità.
Non è andata male, ma neanche bene...

Titolo: Cose preziose
Titolo originale: Needful things
Autore: Stephen King
Edizione: Sperling & Kupfer
Prezzo: 12,90€
Trama: Quale evento turba questa volta la pace della tranquilla cittadina americana di Castle Rock? È l'arrivo di Leland Gaunt, un forestiero strano e sfuggente. Quest'individuo ambiguo apre un negozio, Cose Preziose, dove è possibile acquistare pezzi rari, curiosità, autentiche gioie per piccoli collezionisti. Gaunt sembra catturare i desideri più nascosti di ogni cliente, riuscendo a trovare per chiunque ciò che cercava o segretamente sognava da anni.

Voto: 3,5/5 (7/10)
La prima cosa che ho pensato, una volta giunta all'ultima pagina, è che in questo libro c'è troppo di tutto: troppi personaggi, troppe storie, troppi fatti, troppi nomi, troppe pagine e troppi avverbi. Davvero. Non ero neanche a metà e già mi chiedevo se King li avesse comprati a sconto al supermercato. Un tanto al chilo. Con l'obbligo di usarli tutti, pena la loro scadenza. In alcuni passaggi l'ho trovato perfino irritante.
Questo però gli consente di scrivere oltre 600 pagine (almeno nella mia edizione) con una traa che potrebbe essere riassunta in due righe.
No. Non sono così cattiva da insinuare che è solo brodo allungato. Assolutamente. Diciamo che è stato molto bravo a far partire, dal fulcro centrale della storia, una serie di piccole sottotrame, di derivazioni, talvolta molto brevi, che hanno dato origine ad un romanzo più corposo. Al contempo, pur non trovandole eccessive, continuo a pensare che avrebbe ottenuto un buon risultato anche con qualcosa di meno.
Discorso simile per i personaggi: troppi.
Ho fatto molta fatica a ricordarli tutti e ho quasi ringraziato quando hanno iniziato a morire. Anche qui riconosco una certa bravura a King: in poche parole li tratteggia e li caratterizza. Al contempo però, l'approfondimento psicologico è minimo e l'evoluzione assente, almeno per la maggior parte di loro. Li considererei più degli stereotipi che King usa per mostrare caratteristiche 'bruttine' di comportamenti e animi umani. La Nettie o lo Hugh Priest di turno non vanno letti come se stessi, ma come rappresentanti di gruppi di esseri umani: chi si attacca a tutto per discutere, chi si nasconde in casa, chi ha certi vizi, chi ha certi comportamenti, e così via. Letto in questo senso, il libro diventa un viaggio interessante nell'animo umano.
Si differenziano un po' quelli che, alla fine, credo siano i protagonisti: Alan, Polly e Norris. Almeno i protagonisti... buoni. Perché la cosa che ho apprezzato di più del romanzo, è che il vero protagonista è in realtà l'antagonista. E viceversa. Almeno intendendo protagonista e antagonista secondo la definizione classica: protagonisti i buoni, antagonisti i cattivi.
Adottando il punto di vista di Leland Gaunt, invece, i ruoli sono perfettamente definiti.
Lui mi è piaciuto? Non lo so. Cattivo è cattivo. Ossia è uno di quei cattivi veri come piacciono a me, però il finale mi lascia perplessa. La soluzione per chiudere la vicenda mi sembra disgiunta dal resto. E un po' troppo aperta alle interpretazioni. Avrei preferito qualcosa di più 'realistico', sempre tenendo presenti le 'regole' del mondo di King.
Messa così mi ricorda tanto i manga giapponesi in cui il super eroe acquisisce un power up improvviso per grazia ricevuta senza che si capisca da dove viene, perché, per come, perché non prima, eccetera.
Sulla scrittura credo di avere ben poco da dire. Troppi fronzoli per i miei gusti personali, ok, avrei preferito qualcosa di più snello, ma è soggettivo. Oggettivamente è una bella scrittura, curata, appropriata, pacata, in certi passaggi anche distensiva ed elegante. Le descrizioni sono 'visive' e d'impatto, ma non pesanti. I dialoghi curiosi e interessanti. Ampio l'uso del discorso indiretto riflessivo che mostra qualche pensiero dei personaggi.
Non è stata una brutta lettura, ma non credo ripeterò l'esperienza. Nè con questo, nè, per il momento, con altre opere del Re. In futuro non escludo niente.

Commenti

  1. Per quando deciderai di dare un’altra possibilità a King:
    - Dolores Claiborne, un lungo monologo che non è propriamente horror, con una protagonista fenomenale e (a mio avviso) un’ottima caratterizzazione di tutti i personaggi
    - Rose Madder, poco conosciuto, ai tempi lo adorai
    - Pet Sematary, a oggi considerato uno dei più angoscianti della sua produzione, una storia che parla di dolore, elaborazione del lutto e perdita della sanità mentale
    - Mucchio d’ossa, uno di quelli che mi sono piaciuti di più
    - It, se vuoi provare con un mattone di più di mille pagine XD
    Spero che il tuo prossimo tentativo vada meglio :)

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