Recensione: Carciofi alla giudia di Elisabetta Fiorito

Buon lunedì e buon inizio settimana amici.
Prosegue la pubblicazione di recensioni un po' datate (qualche mese), ma intanto riesco a leggere anche cose nuove e presto arriveranno quelle 'inedite'.
Questo è uno di quei libri che ad un primo approccio possono piacermi, ma quando vado a leggerli mi deludono fin quasi all'irritazione. Forse non ho trovato io la giusta chiave di lettura, non so. So che, se non si fosse trattato del libro di una challenge, lo avrei abbandonato.

Titolo: Carciofi alla giudia
Autore: Elisabetta Fiorito
Edizione: Mondadori
Prezzo: 9,99 €
Trama: Rosamaria è una donna piena di risorse. Single impenitente, razionalista, illuminista, ha perseguito con determinazione le sue passioni, ha rifiutato di impiegarsi nell'azienda di famiglia ed è diventata regista teatrale, con tutta la fatica che ciò comporta in tempi di crisi e di tagli alla cultura. Uno dei suoi motti è: "troppa religione fa male, qualunque essa sia". Peccato che poi si sia innamorata di David, di famiglia ebraica tripolina osservante, da cui ora, a quarantadue anni, aspetta il piccolo Arturo. Rosamaria vive tra due fuochi: gli Shabbat e i pasti rigorosamente kasher con la famiglia del compagno e i pranzi domenicali molto romaneschi e tendenzialmente impuri preparati invece da sua madre, che, abituata ai modi spicci e all'autonomia della figlia, mal sopporta di vederla così arrendevole nei confronti del compagno. I Cecchiarelli e i Fellus formano loro malgrado una famiglia allargata chiassosa e impegnativa, nella quale Rosamaria – il neonato in braccio, la sceneggiatura di una nuova commedia in borsa – si muove con grazia e concretezza, senza prendersi mai troppo sul serio, cercando di rendere tutti quanti felici. Sullo sfondo, la crisi economica ormai endemica che qualche anno prima ha portato al fallimento il mobilificio della famiglia Cecchiarelli. Da allora, il fratello maggiore di Rosamaria – forse responsabile del tracollo – ha fatto perdere le sue tracce, ma le ricerche continuano. Da una giornalista di grande esperienza nonché drammaturga brillante, un romanzo straordinario, che, pur conquistando subito con i toni leggeri da commedia, mette in scena con efficacia la complessità, le tensioni e le contraddizioni dell'attualità, attraverso lo sguardo limpido e disincantato di Rosamaria, una protagonista femminile nella quale è un piacere identificarsi: una donna forte, intelligente, ironica, innamorata, capace di apprezzare tutti i piaceri della vita.

Voto: 2,5/5 (5/10)
Mi spiace esordire in maniera negativa, ma devo dire che io e questo libro non ci siamo capiti.
Ho provato varie chiavi di lettura, ho persino cercato altre recensioni che potessero suggerirmi i suoi pregi, ma niente. Noioso e privo d'interesse era, noioso e privo di interesse è rimasto.
La trama non è che uno spaccato della vita di Rosamaria, una vita che mi è sembrata così ordinaria da spingermi più volte a chiedermi cosa ci fosse da raccontare. Per età (e recente maternità) avrei dovuto sentirla vicina, avrebbe dovuto suscitarmi una certa empatia, ma l'ultima cosa al mondo che desidero è leggere un libro per immedesimarmi in una donna così scialba e insignificante. Lo sono già abbastanza di mio, grazie.
David invece è stato proprio irritante. E' sulla buona strada del fanatismo religioso ed è una cosa che non sopporto, in nessun caso e in nessuna religione.
Altri personaggi, per quanto abbastanza caratterizzati, rimangono più sullo sfondo.
I pensieri di tutti mi sono sembrati stereotipati e banali.
Tralasciando la trama, mi sono concentrata sugli altri possibili sensi del libro. Le coppie di religioni diverse? Non è che Rosamaria faccia chissà quale mediazione o opposizione, anche in virtù del fatto che lei sembra atea o quasi.
Parlare dell'ebraismo dal punto di vista degli ebrei?
Mah... Forse. E forse sarebbe stato anche interessante se il tutto non fosse divenuto troppo didattico. In alcuni passaggi mi ha ricordato i libri di scuola.
Per finire ho trovato invadente il pensiero dell'autrice, che spesso prevarica quello dei personaggi, e pedanti alcune descrizioni che sanno tanto di brodo allungato.
Qualche esempio?

Ad un certo punto si dice che Roma nord è tendenzialmente laziale, Roma sud romanista.
Qualcuno nel libro è appassionato di calcio? No.
Serve alla storia? No.
Serve a definire l'ambiente? A meno che il lettore non debba immaginare la capitale mezza bianco azzurra e mezza giallo rossa, direi di no.
Ergo quest'informazione è inutile. Non me la scrivere.

Nel libro si legge che Tizio votava a destra, Caio a sinistra e così via. Ho trovato queste uscite piazzate qua e là e mi sono sembrate messe a caso, così come tanti altri riferimenti politici. Forse sono io che non sono riuscita a decodificarli, ma non sono serviti a niente per la mia lettura.

"Preparò il latte ad Arturo. Versò i misurini di latte in polvere che sciolse nell'acqua minerale naturale, poi mise tutto nel microonde."
Lo posso scrivere? Chissenefrega! Dimmi solo che gli ha dato sto latte e stop. Tempo che ho letto tutta sta procedura, è diventato maggiorenne.

Questi sono solo i casi che mi sono rimasti più impressi, ma il libro ne è pieno e hanno peggiorato una lettura già di per sé non edificante. Peccato.

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